Grazie alla conversione in legge del Decreto Semplificazioni, è stato sancito che gli impianti fotovoltaici costruiti su discariche chiuse e cave esaurite possono usufruire degli incentivi statali, anche se si trovano su aree classificate come agricole.
La questione degli impianti fotovoltaici realizzati su terreni agricoli è sempre stata oggetto di discussioni e contraddizioni, che spesso hanno caratterizzato le procedure e amministrazioni dello Stato:
- con il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) sono stati posti degli obiettivi talmente ambiziosi di decarbonizzazione e sviluppo delle energie rinnovabili, da essere irraggiungibili senza l’installazione di parchi fotovoltaici a terra;
- Regioni e Comunihanno proceduto in ordine sparso all’applicazione di tali indirizzi sui propri territori e, anche quando hanno approvato nuovi impianti, è capitato che un altro braccio dello Stato abbia bloccato tutto.
Pertanto, la decarbonizzazione e lo sviluppo delle rinnovabili hanno sempre avuto un percorso lento e incerto.
La novità apportata dal Decreto risulta essere decisamente un passo avanti, ma insufficiente per raggiungere gli obiettivi del PNIEC, che prevedono il dispiegamento di nuova capacità FV di 2,8 GW l’anno fino al 2030, rispetto alla potenza FV complessiva aggiornata al 2019 – circa il quadruplo rispetto alla media installata negli ultimi anni.
È necessario dare maggiore impulso a tutte le forme di iniziativa del fotovoltaico, considerando che le prime aste del DM FER 1 sono state alquanto deludenti, poiché è stata registrata la quasi totale assenza del fotovoltaico, con la conseguenza di non aver saturato il contingente messo a disposizione già alla seconda procedura d’asta e di aver registrato tariffe più alte di quelle attese. Anche se ora alcuni impianti possono ricadere nel Decreto FER 1, ne rimangono comunque molti che hanno bisogno delle autorizzazioni, pertanto, permane l’incertezza dei tempi, delle interpretazioni e degli esiti degli iter autorizzativi.
Risulta, quindi, fondamentale una semplificazione delle regole per le rinnovabili, attraverso un monitoraggio e controllo di quanto accade nei territori, aggiornando i dati periodicamente per poter espandere gli impianti.
Negli ultimi anni la creazione di impianti fotovoltaici a terra è sempre stata vietata a causa della diffusa percezione che vasti appezzamenti di pianure e colline sarebbero stati inglobati al solo scopo di trarne profitto. Questa convinzione è risultata però essere infondata stando ai dati sulla Superficie Agricola Utile (SAU), che hanno rilevato quanta di questa viene occupata dal fotovoltaico, quanta se ne perde comunque ogni anno per ragioni che non hanno niente a che fare con le rinnovabili e quanta ne basterebbe per realizzare gli obiettivi del PNIEC.
Secondo l’Energy & Strategy Group del politecnico di Milano, basterebbe solo il 10% della superficie agricola non utilizzata in Italia per installare oltre 61 GW, cioè più del doppio rispetto all’obiettivo del PNIEC, che fra l’altro appare sempre più insufficiente e da rivedere al rialzo.
In realtà i vantaggi di abbinare agricoltura e fotovoltaico sono numerosi:
- riduzione dei consumi idricigrazie all’ombreggiamento dei moduli;
- minore degradazione dei suolie conseguente miglioramento delle rese agricole;
- risoluzione del “conflitto” tra differenti usi dei terreni (per coltivare o per produrre energia);
- possibilità di far pascolare il bestiamee far circolare i trattori sotto le fila di pannelli o tra le fila di pannelli, secondo le modalità di installazione con strutture orizzontali o verticali, avendo cura di mantenere un’adeguata distanza tra le fila e un’adeguata altezza dal livello del suolo.
L’agricoltura, quindi, può essere tranquillamente svolta tra le file dei moduli fotovoltaici, in quanto ci sono casi di impianti agrovoltaici in cui su 40 ettari di appezzamento, la parte occupata dai moduli e non immediatamente disponibile per le colture è di circa 10-15 ettari, quindi meno della metà e fino a solo un quarto della superficie complessiva. Si parla, pertanto, di un valore irrilevante di superficie tolta all’agricoltura; considerando, inoltre, che la quantità di terreni agricoli non utilizzati da anni è nettamente superiore a quella di molti terreni classificati come agricoli, che sono in realtà appezzamenti marginali e difficilmente coltivabili su cui ci sono operatori FV pronti a investire, con ricadute positive sia per l’economia locale che per il clima.
Per dimostrare come il fotovoltaico possa essere una grande opportunità per il settore agricolo, sarebbe necessario stilare delle regole fisse e chiare per identificare i terreni e per regolarne le modalità di utilizzo, così da dare la possibilità di:
- scegliere l’utilizzo dei propri terreni;
- diversificaregli usi, contenendo i rischi legati alla stagionalità;
- ottenere risorsefinanziarie da investire per la valorizzazione dei terreni e lo sviluppo di forme innovative di
Tuttavia, ci sono invece casi in cui unire il fotovoltaico all’agricoltura non è conveniente. Nel caso di terreni marginali vicini alle città o alle zone produttive, andrebbero installati impianti fotovoltaici puri, senza impiantare anche delle colture; mentre nelle zone dove ci sono colture di altissima qualità e grande importanza economica, si potrebbe evitare il connubio con il fotovoltaico.
Per quanto riguarda invece gli impianti di piccole dimensioni (da uno, due fino a 10 MW), anche con sistemi di accumulo, situati vicino a punti di consumo, possono funzionare molto bene, in quanto potrebbero far parte delle comunità energetiche e vendere l’energia in maniera più diretta ai consumatori e alle imprese vicine con i contratti dedicati (PPA), permettendo di aumentare l’autoconsumo nei periodi di minore irraggiamento, pur non risolvendo il problema dell’accumulo stagionale.
In conclusione, l’Italia necessita di un’accelerazione nello sviluppo delle rinnovabili e riguardo l’ambito delle autorizzazioni, vista la riduzione dei costi delle tecnologie, in vista degli obiettivi imposti dal PNIEC. In aggiunta a ciò, la disomogeneità normativa tra Regioni e la mancanza di coordinamento con gli obiettivi nazionali contribuiscono a ostacolare gli investimenti privati; pertanto, sarebbe utile un raccordo tra gli obiettivi statali e quelli regionali, in modo da poter garantire un processo di decarbonizzazione, che valorizzi le risorse naturali presenti nei diversi territori.
Vi terremo aggiornati.
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